Velo Media

La coda lunga di Rapha

Written by :

Posted on :

Per chi non era ad assistere, l’ingresso di Rapha sulla scena ciclistica all’inizio degli anni 2010 è stato come un cambiamento siderale. La loro interpretazione dell’abbigliamento da ciclismo su strada è stata assolutamente unica. Il fondatore, Simon Mottram, aveva un’ampia esperienza nel settore dei beni di lusso e del branding e ha individuato una notevole lacuna nel mercato dell’abbigliamento da ciclismo, che ha provveduto a colmare.

 

L’abbigliamento ciclistico prima di Rapha

In Europa, fino ai primi anni 2000, l’abbigliamento da ciclismo su strada era fortemente legato ai club locali. Il classico ciclista su strada acquistava un kit da un negozio locale, spesso con il logo del negozio, oppure faceva parte di un club e quindi indossava il kit del club. Questi capi erano tappezzati di loghi e raramente avevano una sensibilità stilistica.

 

L’ingresso di Simon Mottram e Rapha nel 2004

Lo stile caratteristico di Rapha, il suo marketing sfrontato, hanno fatto dei ciclisti agnelli da macello. La gente non riusciva a fare a meno del marchio. Anche se i i prezzi erano tendenzialmente più alti della concorrenza. Molto più alti. Un business basato sulla vendita diretta quindi con margini altissimi. Invece di fare cassa, Mottram ha riversato i profitti nel marchio e ha costruito la comunità. Questo è stato strategico per far girare il volano che alla fine ha portato alla sua uscita nel 2017 per 200 milioni di sterline.

 

L’imitazione è la forma più sincera di adulazione

Negli anni 2015-2020 sono nati decine di marchi di abbigliamento con uno stile influenzato da Rapha. Tra gli esempi ricordiamo: La Passione, Isadore Apparel, Pas Normal Studios, MAAP, solo per citarne alcuni. Molti sono fioriti quando il ciclismo su strada ha soppiantato il golf come sport di elezione per gli uomini della classe media superiore in Europa e Nord America. Un’onda talmente ampia che ha dato vita a un acronimo, MAMIL (middle men in lycra, uomini di mezza età in lycra). Da allora le cose sono cambiate, perché il COVID e il post-COVID hanno avuto un impatto sostanziale sui marchi di abbigliamento, ma questa è un’altra storia.

 

L’influenza di Rapha sulla strategia di marketing

Sarebbe ragionevole affermare che Rapha ha influenzato il modo in cui tutti i marchi di ciclismo approcciano il marketing e il branding. I contenuti tipici sono fatti da fotografie di alta qualità in luoghi pittoreschi. Uomini e donne che soffrono in sella e poi si godono un caffè dopo la corsa. Non fraintendetemi, Rapha racconta una bella storia di ciclismo. Sensazioni magiche, destinazioni meravigliose, cameratismo, stile, passione e fatica. Valori condivisibili per un’idea vincente. Anche se ormai sembra che questa sia diventata la storia da raccontare per tutti i marchi.

 

La coda lunga di Rapha

Di recente ho parlato di questo argomento con l’ex ciclista professionista e consulente di marketing per il ciclismo David Van Orsdel nel podcast di BOC. «Negli ultimi anni ho sentito costantemente i marchi dire: “Voglio che assomigli a Rapha, fallo assomigliare a Rapha”. Io dicevo loro che questa è la storia del marchio Rapha. L’hanno già fatto. Dovete raccontare la vostra storia!”.

 

Sono pienamente d’accordo con David. È relativamente facile cadere in questa mentalità: basta che sia simile a Rapha e il lavoro è fatto. Unito al fatto che il ciclismo è tradizionalmente conservatore, uno dei motivi principali per cui le cose sono diventate così omogenee. Inoltre il brand ciclistico medio è piccolo con budget sono limitati, soprattutto in questo periodo di brutale abbondanza di prodotti sul mercato dopo Covid.

 

Quindi è seducente per i marchi voler replicare la storia del marchio Rapha. E anche economico avere una strategia di marketing e comunicazione già pronta e vincente. Nessuno è mai stato licenziato per aver fatto la storia di Rapha. Ma se i marchi non raccontano una storia unica, la loro storia unica, come può il consumatore distinguere un brand dall’altro?